IL CONSIGLIO DI STATO 
              in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) 
 
    ha pronunciato la presente sentenza non definitiva 
        sul ricorso  numero  di  registro  generale  8856  del  2020,
proposto da Corrado Belfiore, Nicola Danisi, Alberto Dordoni,  Andrea
Daniele Maria Marsotto, Carlo Masutti, Mauro Miniati, Marco  Picciau,
Diego Regali, Luigi Ricciardi, Antonio Sala, Mario  Tassini,  Giorgio
Tomelleri, rappresentati e difesi dagli avvocati Salvatore Coronas  e
Umberto Coronas, con domicilio digitale come da PEC  da  Registri  di
giustizia; 
        contro Ministero della difesa, in  persona  del  Ministro  in
carica,  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente in carica, per legge  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura
generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12; 
        sul ricorso  numero  di  registro  generale  8857  del  2020,
proposto da Antonio  Albanese,  Marco  Paolo  Felli,  Michele  Fucci,
Raffaele Tannelli, Pasquale Merola, Ignazio Nicolosi, rappresentati e
difesi dagli  avvocati  Salvatore  Coronas  e  Umberto  Coronas,  con
domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; 
        contro Ministero della difesa, in  persona  del  Ministro  in
carica,  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente in carica, per legge  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura
generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12; 
        sul ricorso  numero  di  registro  generale  8858  del  2020,
proposto da  Roberto  Azzolin,  Filippo  Caroselli,  Aurelio  Cereti,
Giacomo De Ponti, Franco Marsiglia, Patrizia Rossi  (quale  erede  di
Vittorio Mulas), Gian Luca Penni, Roberto  Quattrociocchi,  Salvatore
Raimondo, Ettore  Storti,  Fabio  Daniele  Zuccolin,  Mirco  Zuliani,
rappresentati e difesi dagli avvocati  Salvatore  Coronas  e  Umberto
Coronas, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; 
        contro Ministero della difesa, in  persona  del  Ministro  in
carica,  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente in carica, per legge  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura
generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12; 
        sul ricorso  numero  di  registro  generale  8859  del  2020,
proposto da Renato Battelli,  Tiziano  Borelli,  Giampiero  De  Meis,
Antonino Giuliano, rappresentati e difesi  dagli  avvocati  Salvatore
Coronas e Umberto Coronas, con domicilio  digitale  come  da  PEC  da
Registri di giustizia; 
        contro Ministero della difesa, in  persona  del  Ministro  in
carica,  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente in carica, per legge  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura
generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12; 
        sul ricorso  numero  di  registro  generale  8860  del  2020,
proposto da Stefano Crino', rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati
Salvatore Coronas e Umberto Coronas, con domicilio digitale  come  da
PEC da Registri di giustizia; 
        contro Ministero della difesa, in  persona  del  Ministro  in
carica,  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente in carica, per legge  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura
generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12; 
        sul ricorso  numero  di  registro  generale  8862  del  2020,
proposto da Italo De Marchi,  Antonio  Giuseppe  Di  Fiore,  Riccardo
Donati,  Maurizio  Fardellotti,  Leonardo  Forliano,  Carlo  Gavioli,
Alessandro  Gresta,  Pierluigi  Leonarduzzi,  Paolo  Mazzi,   Ruggero
Raganato, Claudio Salerno, Giacomino Tomassetti, Salvatore D'Antonio,
Gabriele   Martiniani,   Francesco   Oliveri,   Vincenzo    Paratore,
rappresentati e difesi dagli avvocati  Salvatore  Coronas  e  Umberto
Coronas, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; 
        contro Ministero della difesa, in  persona  del  Ministro  in
carica,  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente in carica, per legge  con  il  patrocinio  dell'Avvocatura
generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12; 
    per la riforma 
        quanto al ricorso  n.  8856  del  2020:  della  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio  (sezione  Prima)  n.
5697/2020, resa tra le parti; 
        quanto al ricorso  n.  8857  del  2020:  della  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio  (sezione  Prima)  n.
10606/2020, resa tra le parti; 
        quanto al ricorso  n.  8858  del  2020:  della  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio  (sezione  Prima)  n.
5325/2020, resa tra le parti; 
        quanto al ricorso  n.  8859  del  2020:  della  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio  (sezione  Prima)  n.
6556/2020, resa tra le parti; 
        quanto al ricorso  n.  8860  del  2020:  della  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio  (sezione  Prima)  n.
6558/2020, resa tra le parti; 
        quanto al ricorso  n.  8862  del  2020:  della  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio  (sezione  Prima)  n.
6559/2020, resa tra le parti; 
    Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Avvocatura  dello
Stato per la Presidenza  del  Consiglio  e  per  il  Ministero  della
difesa; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  7  febbraio  2023  il
cons. Alessandro Enrico Basilico e uditi per le  parti  gli  avvocati
Umberto Coronas e l'Avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni; 
    Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    1. Gli appellanti sono tutti  ufficiali  in  servizio  permanente
delle Forze armate in possesso del  brevetto  di  pilota  militare  e
agiscono  in  giudizio  per  il  riconoscimento  del   c.d.   «premio
antiesodo», istituito dall'art. 1 della legge 28  febbraio  2000,  n.
42,  con  previsioni  poi  confluite  nell'art.   2261   del   codice
dell'ordinamento militare (c.o.m.) di cui al decreto  legislativo  15
marzo 2010, n. 66, negato loro dall'Amministrazione  di  appartenenza
invocando l'art. 1, comma 261, della legge 23 dicembre 2014,  n.  190
(legge di stabilita' 2015), che ha abrogato, tra l'altro,  il  citato
art. 2261 c.o.m. 
    2.  Per  comprendere  il  contesto  in   cui   e'   maturata   la
controversia, occorre rammentare che, a norma dell'art. 1, comma 1  e
2,  della  legge  n.  42  del  2000  (intitolata  «Disposizioni   per
disincentivare l'esodo dei piloti militari»), le cui previsioni  sono
oggi riprodotte negli articoli 966 e 1803 c.o.m.,  gli  ufficiali  in
servizio permanente delle Forze armate in possesso  del  brevetto  di
pilota militare, che hanno ultimato la ferma obbligatoria e  maturato
almeno sedici anni di servizio, sono ammessi a una  ferma  volontaria
di durata biennale, rinnovabile per non piu' di quattro  volte  entro
il quarantacinquesimo anno di eta', ottenendo un premio  per  ciascun
periodo di ferma volontaria contratta. 
    Contestualmente, la stessa legge n. 42 del 2000, con disposizioni
contenute nell'art. 1, comma 3 e 4, e oggi confluite  nell'art.  2261
c.o.m., ha previsto la corresponsione di una specifica indennita' una
tantum (meglio, un «premio») agli ufficiali che rientrassero  in  una
delle seguenti categorie: 
        coloro che, pur non  avendo  superato  il  quarantacinquesimo
anno di eta' alla data del 21 marzo 2000 (giorno in cui e' entrata in
vigore la legge n. 42 del 2000), non hanno potuto contrarre  tutti  i
periodi di ferma  volontaria  consentiti  dall'art.  966  c.o.m.  (in
questo caso, il premio  corrisponde  alla  differenza  tra  l'importo
complessivo  dei  premi  percepibili  per  tali  periodi   e   quello
effettivamente percepito dal militare); 
        coloro che, alla data del 21 marzo 2000, abbiano superato  il
quarantacinquesimo anno di eta' ma non il cinquantesimo anno di  eta'
e  siano  in  possesso  delle  specifiche  qualifiche  previste   per
l'impiego di  velivoli  a  pieno  carico  operativo  e  in  qualsiasi
condizione meteorologica. 
    In entrambi i casi il premio e'  corrisposto  «al  raggiungimento
dei limiti di eta' per la cessazione del servizio». 
    E' opportuno osservare sin d'ora che un premio analogo  e'  stato
istituito dalla legge 22 dicembre 2003, n. 365,  con  previsione  poi
riprodotta nell'art. 2262, commi 2 e 3, c.o.m., anche per i  militari
gia' titolari dell'abilitazione di controllore del traffico aereo. 
    3. Nel caso di specie, alcuni appellanti rientrano nel  campo  di
applicazione del comma 1 (militari che al 21 marzo 2000 avevano  meno
di 45 anni e che non hanno potuto contrarre tutti periodi di  ferma),
altri nel comma 2 (militari che al  21  marzo  2000  avevano  un'eta'
compresa tra 45 e 50 anni con specifiche qualifiche per l'impiego  di
velivoli) dell'art. 2261 c.o.m.. 
    In particolare: 
        per quanto riguarda l'appello RG n. 8856/2020, rientrano  nel
campo di applicazione del comma  1  i  ricorrenti  Danisi,  Marsotto,
Masutti,  Miniati,  Picciau,  Regali,   Sala,   Tassini,   Tomelleri;
rientrano invece nell'ambito  del  comma  2  i  ricorrenti  Belfiore,
Dordoni e Ricciardi; 
        per quanto riguarda l'appello RG n. 8857/2020,  i  ricorrenti
rientrano tutti nel campo di applicazione del comma 1; 
        per quanto riguarda l'appello RG n. 8858/2020, rientrano  nel
campo di applicazione del comma 1 i  ricorrenti  Azzolin,  Caroselli,
Cereti, De Ponti, Marsiglia, Mulas (cui e' subentrata la sig.ra Rossi
quale erede),  Penni,  Quattrociocchi,  Raimondo,  Storti,  Zuccolin;
rientra invece nell'ambito del comma 2 il ricorrente Zuliani; 
        per  quanto  riguarda  gli  appelli  RG  n.   8859/2020,   n.
8860/2020, e n 8862/2020, i ricorrenti rientrano tutti nel  campo  di
applicazione del comma 1. 
    4. Prima che gli appellanti raggiungessero i limiti di  eta'  per
la cessazione del servizio, e' entrata in vigore la legge 23 dicembre
2014, n. 190, il cui art. 1,  comma  261,  ha  abrogato  l'art.  2261
c.o.m. (nonche' l'art. 2262, commi 2 e 3, dedicato ai controllori  di
volo). 
    Invocando   l'abrogazione   della   norma   che   lo   prevedeva,
l'Amministrazione di appartenenza ha negato il «premio antiesodo» che
i militari avevano richiesto  una  volta  cessati  dal  servizio  per
raggiunti limiti di eta'. 
    5. Questi hanno quindi agito dinanzi  al  giudice  amministrativo
(nella cui giurisdizione esclusiva rientrano le controversie relative
ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico, ai
sensi  dell'art.  133,  comma  1,  lettera  i),  cod.  proc.   amm.),
impugnando i dinieghi ricevuti e chiedendo  il  riconoscimento  delle
somme asseritamente loro spettanti,  con  condanna  del  Ministero  a
corrisponderle. 
    6. In primo grado il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
ha respinto i ricorsi presentati dagli odierni appellanti. 
    7. Questi hanno impugnato le varie sentenze sfavorevoli rese  nei
loro confronti. 
    8. Nei giudizi di appello, si e'  costituita  l'Avvocatura  dello
Stato, chiedendo il rigetto delle impugnazioni. 
    9.  In  corso  di  causa,  le  parti  hanno  depositato   scritti
difensivi, approfondendo le rispettive tesi. 
    10. All'udienza del 7 marzo 2023, le cause sono state  trattenute
in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    11. In via  preliminare,  il  Collegio  ritiene  di  disporre  la
riunione degli appelli  indicati  in  epigrafe,  in  quanto,  benche'
proposti contro sentenze diverse, la decisione  su  di  essi  dipende
dalla risoluzione di identiche questioni di diritto. 
    12. Con il primo motivo di appello,  tutti  deducono:  «Error  in
iudicando: violazione e falsa applicazione degli articoli 2261, commi
1 e 2, e 2186, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66,
dell'art. 1, commi 261 e 735 della legge 23 dicembre  2014,  n.  190,
degli articoli 11 e 15 disp.  prel.  c.c.;  violazione  dei  principi
generali di ragionevolezza, di parita' di trattamento,  di  legittimo
affidamento e di  coerenza  e  certezza  dell'ordinamento  giuridico;
eccesso  di  potere  per  errore   nei   presupposti,   per   difetto
d'istruttoria,  per  difetto  o  apparenza  di  motivazione   e   per
illogicita' e contraddittorieta'». 
    In particolare, si sostiene che il  Tribunale  abbia  errato  nel
giudicare sul primo motivo del ricorso  di  primo  grado,  che  viene
riproposto  in  appello,  con  il  quale  asseriscono  che  il  fatto
costitutivo  del  diritto  a  percepire  il  «premio  antiesodo»  sia
rappresentato  unicamente   dall'eta'   inferiore   a   45   anni   e
dall'impossibilita' di contrarre tutti i periodi di ferma  volontaria
(per la  fattispecie  di  cui  al  comma  1  dell'art.  2261)  ovvero
dall'eta' compresa tra 45 e 50 anni e dal possesso  delle  specifiche
qualifiche per l'impiego di velivoli (per quella di cui  al  comma  2
del  medesimo  articolo),  mentre  la  cessazione  dal  servizio  per
raggiunti limiti di eta' non sarebbe un  elemento  costitutivo  della
fattispecie, bensi' il termine  per  il  pagamento  delle  somme;  di
conseguenza, l'intervenuta abrogazione non  potrebbe  incidere  sulla
loro posizione, avendo questi maturato il diritto prima  dell'entrata
in vigore della legge n. 190 del 2014. 
    13. Il motivo e' infondato. 
    L'art. 2261 c.o.m. stabilisce che: «1. Agli ufficiali in servizio
permanente  dell'Esercito   italiano,   della   Marina   militare   e
dell'Aeronautica militare in possesso del brevetto di pilota militare
che, pur non avendo superato il quarantacinquesimo anno di eta'  alla
data del 21 marzo 2000, non abbiano potuto contrarre tutti i  periodi
di ferma volontaria di cui all'art.  966,  e'  corrisposto  in  unica
soluzione, al raggiungimento dei limiti di eta' per la cessazione dal
servizio, un premio pari alla differenza  tra  l'importo  complessivo
dei premi di  cui  all'art.  1803  e  quello  complessivo  dei  premi
percepiti. 2. Agli ufficiali  in  servizio  permanente  dell'Esercito
italiano,  della  Marina  militare  e  dell'Aeronautica  militare  in
possesso del brevetto di pilota militare che alla data del  21  marzo
2000, abbiano superato il  quarantacinquesimo  anno  di  eta'  e  non
superato il cinquantesimo anno di eta'  e  siano  in  possesso  delle
specifiche qualifiche previste per  l'impiego  di  velivoli  a  pieno
carico  operativo  e  in  qualsiasi  condizione   meteorologica,   e'
corrisposto in unica soluzione, al raggiungimento dei limiti di  eta'
per la cessazione dal servizio, un premio di importo pari alla  meta'
dell'importo complessivo dei premi di cui all'art. 1803». 
    Secondo il Tribunale, la norma configurerebbe una  fattispecie  a
formazione progressiva, in cui alla sussistenza di un primo requisito
(l'impossibilita' di contrarre  tutti  i  periodi  di  ferma,  per  i
militari che rientrano  nell'ambito  di  applicazione  del  comma  1,
ovvero il possesso di determinati requisiti professionali, per quelli
che ricadono sotto l'alveo del comma 2), deve aggiungersi il  secondo
requisito della permanenza in servizio  fino  al  raggiungimento  dei
limiti di eta'; di conseguenza, dato che, al momento dell'abrogazione
dell'art. 2261 c.o.m.,  gli  appellanti  erano  ancora  in  servizio,
questi non avrebbero maturato il diritto al «premio  antiesodo»,  per
mancanza del secondo elemento costitutivo della fattispecie. 
    14.  Per  comprendere  se  il  collocamento  in  quiescenza   per
raggiunti limiti di eta' rappresenti il termine per il pagamento  del
premio (come sostengono gli appellanti), o  sia  invece  un  elemento
costitutivo della fattispecie  (come  argomenta  l'Amministrazione  e
come affermato dal TAR), occorre muovere - non opponendosi a cio'  la
piu' immediata interpretazione letterale  -  dallo  scopo  perseguito
dalla   norma,   che   consiste   nell'incentivare   piloti    ancora
relativamente giovani a rimanere  in  servizio  nelle  Forze  armate,
invece di  cercare  migliori  condizioni  d'impiego  alle  dipendenze
dell'aeronautica privata (come peraltro riconoscono entrambe le parti
e come ritenuto anche dal giudice di prime cure). 
    La disposizione regola infatti la  particolare  situazione  degli
ufficiali che non  abbiano  potuto  beneficiare  della  possibilita',
prevista dalla legge n. 42  del  2000  con  il  dichiarato  scopo  di
«disincentivare l'esodo dei piloti militari», di contrarre una  ferma
volontaria di durata biennale, rinnovabile per non  piu'  di  quattro
volte,  percependo  integralmente  i  relativi  premi:  e  cio'   con
riferimento a quanti ricadono nell'ambito di applicazione  del  comma
1, perche' ne sarebbero stati ammessi in astratto  (perche'  di  eta'
inferiore a 45 anni), ma non vi hanno acceduto in concreto; nonche' a
quanti rientrano nell'alveo del comma 2, perche' di per  se'  esclusi
dal beneficio (in quanto di eta' superiore a 45 anni). 
    In altre parole,  il  legislatore  da  un  lato  ha  previsto  in
generale la possibilita' per gli ufficiali in possesso  del  brevetto
di pilota di accedere  a  diversi  periodi  di  ferma  biennale,  con
relativo incentivo (come tuttora contemplato dall'art. 1803  c.o.m.),
cosi' offrendo  loro  un'occasione  di  guadagno  che  rendesse  piu'
appetibile la permanenza  in  servizio;  dall'altro  ha  disposto  la
corresponsione di un premio a coloro che, anche in ragione  dell'eta'
che avevano quando e' stato introdotto il beneficio, non hanno  avuto
questa opportunita'  o  non  l'hanno  potuta  sfruttare  appieno;  in
entrambi i casi, la finalita' evidente  era  quella  di  evitare  che
ufficiali formati  a  spese  dell'Amministrazione  abbandonassero  il
servizio in eta' ancora relativamente giovane per ricercare  migliori
condizioni d'impiego nel  settore  privato,  che  si  sarebbe  quindi
trovato ad avvalersi delle prestazioni lavorative di  piloti  esperti
senza farsi carico degli oneri della loro preparazione. 
    Tale essendo il fine perseguito dalla  norma,  non  si  puo'  che
condividere la tesi del Tribunale amministrativo regionale del  Lazio
secondo cui la cessazione del servizio per raggiunti limiti  di  eta'
non rappresenta un termine di pagamento, ma e' piuttosto un  elemento
costitutivo della fattispecie, dato  che  il  «premio  antiesodo»  e'
volto a  ricompensare  la  «fedelta'»  di  coloro  che,  pur  potendo
lasciare l'impiego pubblico, sono rimasti  in  servizio  nelle  Forze
armate: solo la cessazione per limiti di eta', infatti, e'  idonea  a
dimostrare che in concreto e' stato  raggiunto  lo  scopo  perseguito
dalla norma (ovvero contrastare l'esodo all'aeronautica privata). 
    Diversamente opinando - ossia riconoscendo l'incentivo  anche  in
caso di cessazione dal servizio per  altre  cause,  per  esempio  per
dimissioni volontarie - la norma verrebbe inibita nella sua  funzione
incentivante e si tradurrebbe nell'attribuzione di un beneficio privo
di una ragione giustificatrice. 
    Alla luce dell'esposta interpretazione  letterale  e  sistematica
dell'art. 2261 c.o.m., si deve concludere che, quando questo e' stato
abrogato dall'art. 1, comma 261, della legge  n.  90  del  2014,  gli
appellanti non avevano ancora maturato il diritto al premio, dato che
erano ancora in servizio e non si era quindi  verificato  il  secondo
presupposto per il suo conseguimento,  come  correttamente  affermato
nella sentenza di primo grado. 
    15.  Con  il  secondo  motivo  di  appello,  articolato  in   via
espressamente subordinata al primo, gli appellanti  deducono:  «Error
in iudicando: violazione di legge sotto il profilo della erroneamente
ritenuta   infondatezza    della    questione    di    illegittimita'
costituzionale,  dedotta  in  via  subordinata  e   qui   riproposta,
dell'art. 1, commi 261 e 735, della legge n. 190/2014, nella parte in
cui hanno abrogato l'art. 2261 del decreto  legislativo  n.  66/2010,
per violazione degli articoli 3, 23,  24,  111  e  117  della  Cost.,
quest'ultimo per contrasto con il parametro interposto  di  cui  agli
articoli  6  e  13  della  C.E.D.U.  ed  all'art.  1  del  Protocollo
addizionale n. 1 della medesima C.E.D.U.». 
    In particolare, i militari ritengono il Tribunale  amministrativo
regionale abbia errato nel giudicare sul secondo motivo  del  ricorso
di  primo  grado,  che  viene  riproposto  in  questa  sede  in   via
subordinata, con il  quale  eccepiscono  l'incostituzionalita'  della
legge n. 190 del 2014, nella parte in cui  ha  abrogato  l'art.  2261
c.o.m., per violazione degli articoli 3,  24  e  111  Cost.,  nonche'
dell'art. 117, comma 1, Cost. in riferimento agli  articoli  6  e  13
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle  liberta'  fondamentali  (in  quanto   lesiva   del   legittimo
affidamento dei militari  e  della  certezza  del  diritto),  nonche'
dell'art. 23 Cost. e dell'art. 117, comma  1,  Cost.  in  riferimento
all'art. 1 del Protocollo  n.  1  alla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  (in
quanto sostanzialmente ablatoria di un diritto -  o  comunque  di  un
«bene»  ai  sensi  della  Convenzione  -  gia'  acquisito   al   loro
patrimonio). 
    16. Secondo il giudice di prime cure, non  essendosi  consolidato
alcun «diritto quesito» nel patrimonio dei ricorrenti,  l'abrogazione
della  norma  istitutiva  del  premio  non  violerebbe  i   parametri
costituzionali  e  convenzionali  invocati   dalla   parte   attorea,
rappresentando una  scelta  discrezionale  e  non  irragionevole  del
legislatore. 
    17. Al contrario, il Collegio ritiene che la  questione  proposta
dagli appellanti sia rilevante e non manifestamente infondata, per le
ragioni di seguito esposte. 
    18. In particolare, la questione e' rilevante, perche', una volta
respinto il primo  motivo  di  appello  (con  cui  si  sosteneva  che
l'abrogazione  dell'art.  2261  c.o.m.  non  potesse  incidere  sulla
posizione degli appellanti),  la  decisione  sulla  fondatezza  della
pretesa avanzata dai militari dipende dall'applicazione dell'art.  1,
comma 261, della legge  n.  190  del  2014  (della  cui  legittimita'
costituzionale  si  dubita),  in  quanto  e'  proprio   l'abrogazione
dell'art. 2261 c.o.m. (contestata  appunto  con  il  secondo  motivo,
espressamente dedotto in via subordinata rispetto al  primo,  perche'
lesiva del legittimo affidamento dei piloti), a  precludere  loro  il
conseguimento del «premio antiesodo», essendo intervenuta  prima  che
si fossero concretizzate tutte le condizioni richieste per  ottenerlo
(ma dopo che erano state operate delle scelte che  avrebbero  dovuto,
prospetticamente, apportare i  vantaggi  che  all'epoca  l'art.  2261
c.o.m. prevedeva). 
    L'eventuale     dichiarazione     d'incostituzionalita'     della
disposizione  abrogatrice  comporterebbe  infatti  la  «reviviscenza»
della norma abrogata e consentirebbe agli appellanti - che invero  si
trovano nella situazione di cui al comma 1 ovvero in quella di cui al
comma 2 dell'art. 2261 c.o.m. - di ottenere il «premio antiesodo» che
e' oggetto della loro domanda. 
    19. Con riferimento alle deduzioni degli appellanti, il  Collegio
ritiene  manifestamente  infondata  la  questione   di   legittimita'
costituzionale come proposta rispetto all'art. 23 Cost., in quanto al
momento dell'abrogazione dell'art. 2261 c.o.m. il diritto  al  premio
non poteva  dirsi  acquisito  al  patrimonio  degli  appellanti,  non
essendosi ancora verificata  una  delle  condizioni  richieste  dalla
norma, con la conseguenza che la legge  di  stabilita'  2015  non  ha
avuto un effetto ablativo rilevante quale  «prestazione  patrimoniale
imposta». 
    20. Questo Consiglio di Stato ritiene invece  non  manifestamente
infondata, oltre che rilevante, la questione rispetto ai principi  di
tutela  del  legittimo  affidamento  e  di   certezza   del   diritto
discendenti dall'art. 3 Cost., nonche' dall'art. 117, comma 1,  Cost.
in riferimento all'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU. 
    Sul punto, e' illuminante la sentenza della Corte  costituzionale
n.  169  del  2022  (opportunamente  richiamata  dalla  difesa  degli
appellanti nella memoria per l'udienza pubblica), con  cui  e'  stata
dichiarata l'incostituzionalita' dell'art. 1, comma 261, della  legge
n. 190 del 2014 nella parte in cui ha abrogato l'art. 2262, commi 2 e
3,  c.o.m.,  che  aveva  previsto,  per  i   militari   in   possesso
dell'abilitazione di controllore del  traffico  aereo,  un  incentivo
analogo a quello rivendicato in questa sede dai piloti. 
    Nella sentenza citata,  la  Corte  ha  osservato  che  la  «norma
censurata, a fronte di una ratio incentivante, quale quella che viene
in rilievo nella specie, viola il principio di ragionevolezza di  cui
all'art. 3 Cost., producendo effetti retroattivi  ingiustificati,  in
quanto incidenti su situazioni soggettive fondate sulla legge e sulla
permanenza  in  servizio   dei   controllori   di   volo,   e   cosi'
contraddicendo ex  post  la  ratio  della  normativa  premiale»  (per
completezza, si rileva che,  in  quest'occasione,  il  Giudice  delle
leggi    ha    limitato    gli    effetti     della     dichiarazione
d'incostituzionalita' della  norma  abrogatrice  al  solo  art.  2262
c.o.m., in quanto nel giudizio a quo non  veniva  in  rilievo  l'art.
2261 c.o.m.). 
    Questi  argomenti  ben  possono  essere  ora  invocati   rispetto
all'abrogazione  del  «premio  antiesodo»  per  i  piloti,  anch'essa
disposta dall'art. 1, comma 261, della legge n. 190 del  2014:  anche
in  questo  caso,  infatti,  il  legislatore  prima  ha  previsto  un
incentivo  per  i  militari  che,  oltre  a  essere  in  possesso  di
determinate caratteristiche, fossero  rimasti  in  servizio  fino  al
raggiungimento dei limiti  di  eta',  per  poi  abrogarlo  dopo  aver
conseguito lo scopo di scoraggiare il  transito  dei  lavoratori  nel
settore privato. 
    A tal proposito, e' opportuno porre  in  luce  come,  benche'  in
linea generale il fluire  del  tempo  possa  costituire  un  elemento
sufficiente a giustificare  un  mutamento  nella  disciplina  di  una
fattispecie, in questo caso non si puo' trascurare la circostanza che
la norma abrogata riguardava una situazione specifica  e  una  platea
relativamente circoscritta di destinatari (gli ufficiali che avessero
una determinata eta' alla data del 21 marzo 2000), con la conseguenza
che l'alterazione del rapporto sinallagmatico tra questi e il  datore
pubblico, nonche' la lesione dell'affidamento, sono correlate proprio
al  trascorrere  del  tempo,  il  quale,  comportando   l'avanzamento
dell'eta' degli  appellanti,  ha  ridotto  progressivamente  le  loro
opportunita'  d'impiego   come   piloti   nell'aeronautica   privata,
rafforzando le ragioni che avevano indotto  a  prevedere  il  «premio
antiesodo»  e  rendendo   evidente   l'irragionevolezza   della   sua
abrogazione, che si risolve, in definitiva, nella  penalizzazione  di
quanti, pur potendo all'epoca abbandonare il servizio,  sono  rimasti
«fedeli» alle Forze armate, anche confidando  nel  conseguimento  del
beneficio. 
    Per riprendere le parole della sentenza n.  169  del  2022  della
Corte costituzionale, nel caso del «premio antiesodo» per  i  piloti,
cosi' come per quello dei controllori di volo, «ci si trova,  dunque,
al cospetto di una situazione soggettiva  che  discende  direttamente
dalla  norma  e  che  radica  nei  suoi  destinatari  un  affidamento
"rinforzato"; situazione che non puo' essere esposta ad  un  semplice
ripensamento del legislatore che ha abrogato la norma incentivante  a
distanza di dodici anni dalla sua introduzione, dopo  aver  raggiunto
lo scopo di scoraggiare, come nel caso oggetto del  giudizio  a  quo,
l'esodo dei dipendenti all'epoca in servizio». 
    21. La lesione  dell'affidamento  riposto  dagli  appellanti  nel
conseguimento del «premio antiesodo», una volta cessati dal  servizio
per raggiunti  limiti  di  eta',  costituisce  anche  una  violazione
dell'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU,  norma  che  rileva  quale
parametro interposto rispetto all'art. 117, comma 1,  Cost.,  secondo
il noto orientamento inaugurato dalla  Corte  costituzionale  con  le
sentenze «gemelle» n. 348 e n. 349 del 2007 (mentre non si ravvisa il
contrasto, denunciato dagli appellanti, con gli articoli 6 e 13 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali e con gli articoli 24 e 111 Cost., dato che  la
modifica del quadro normativo e' intervenuta prima dell'instaurazione
del giudizio e non  ha  quindi  avuto  ne'  lo  scopo,  ne'  comunque
l'effetto, d'influire su contenziosi aperti, indirizzandone l'esito a
favore dell'Amministrazione). 
    L'art. 1 del Protocollo n. 1  alla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
riconosce infatti a ciascuna persona fisica o giuridica il diritto al
rispetto dei suoi «beni», nozione che, nell'interpretazione che ne ha
dato  la  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  comprende   anche
l'aspettativa  legittima  («legitimate  expectation»   o   «esperance
legitime») di ottenere un valore patrimoniale, compreso  un  credito,
quando tale interesse  presenta  una  base  sufficiente  nel  diritto
interno («a sufficient basis in national law» o «une base  suffisante
en droit interne»), circostanza che ricorre, tra l'altro,  quando  e'
fondata su una disposizione legislativa (sul  punto  si  v.,  fra  le
tante, la sentenza della Grande Camera del 28 settembre 2004, ricorso
n. 44912/98, Kopecký v. Slovakia, pt. 45-52, e quella  della  Seconda
Sezione del 4 febbraio 2014, ricorso n. 25376/06, Ceni c. Italie, pt.
39). 
    Nel caso di specie, sembra a questo  Collegio  che  l'aspettativa
degli appellanti di conseguire  il  «premio  antiesodo»,  essendo  in
possesso dei requisiti previsti dall'art. 2261 c.o.m. e rimanendo  in
servizio sino al  raggiungimento  dei  limiti  di  eta',  goda  della
protezione garantita dalla norma convenzionale, dato che e'  sorta  e
si e' fondata su una disposizione legislativa dal tenore inequivoco. 
    L'abrogazione disposta dalla legge n. 190 del 2014 sembra  dunque
costituire un'ingerenza nel diritto  dei  militari  al  rispetto  del
proprio «bene», consistente nell'aspettativa legittima di ottenere il
«premio antiesodo» alle condizioni previste dalla norma abrogata,  la
cui legittimita' deve essere vagliata anche in base  all'art.  1  del
Protocollo n. 1 alla CEDU. 
    A tal proposito, si  deve  quindi  considerare  che,  secondo  la
consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,
tale disposizione si articola in tre distinte  norme:  la  prima,  di
carattere generale, enuncia il principio del diritto al rispetto  dei
«beni»; la seconda contempla la privazione della  «proprieta'»  e  la
subordina a determinate condizioni; la  terza  riguarda  la  potesta'
degli Stati di disciplinare l'uso dei beni (sul punto si v.,  tra  le
tante, la sentenza della Grande Camera del 28 luglio 1999, ricorso n.
22774/93, Immobiliare Saffi v. Italy, pt. 44). 
    Nel caso di specie, vengono in particolare rilievo i  presupposti
in presenza dei quali puo' ritenersi legittima la  privazione  di  un
«bene» del privato, che consistono  nel  rispetto  del  principio  di
legalita', nella sussistenza di una pubblica utilita' che giustifichi
l'ingerenza e nella proporzionalita' dell'intervento, ossia  nel  suo
rappresentare un «giusto equilibrio» tra le  esigenze  dell'interesse
generale della comunita' e i diritti  fondamentali  del  singolo  («a
"fair balance" between the demands of the  general  interest  of  the
community and the requirements of the protection of the  individual's
fundamental rights»: sul punto si v., tra le tante, la sentenza della
Grande Camera 5 gennaio 2000, ricorso n. 33202/96, Beyeler v.  Italy,
pt. 107). 
    Se i primi due presupposti possono  essere  ravvisati  nel  rango
legislativo della norma censurata e nel fine, da  questa  perseguito,
di conseguire risparmi di spesa,  sembra  mancare  invece  il  terzo,
ossia il «giusto equilibro»: a tal proposito, si deve rammentare  che
il «premio antiesodo» e' stato  previsto  quale  corrispettivo  della
permanenza in servizio dei militari che avevano una determinata  eta'
alla  data  del  21  marzo  2000,  con  la  conseguenza  che  la  sua
abrogazione, disposta ad anni di distanza  e  quando  questi  avevano
ormai perso (o vedevano comunque notevolmente ridotte)  le  occasioni
di un impiego nell'aeronautica privata, ha comportato che,  a  fronte
del vantaggio per la collettivita' (che  ha  potuto  beneficiare  per
anni del servizio di piloti formati  ed  esperti),  sia  venuto  meno
nella sua interezza quello che avrebbe dovuto essere riconosciuto  ai
dipendenti. 
    La stessa Corte costituzionale ha del resto ravvisato il  difetto
di  proporzionalita'  dell'intervento  abrogativo   con   riferimento
all'analoga situazione dei controllori  di  volo,  osservando,  nella
piu'  volte  citata  sentenza  n.  169   del   2022,   che   «poiche'
l'ordinamento ha creato le condizioni per le  quali  gli  interessati
non abbandonassero l'amministrazione militare istituendo il premio in
questione, irragionevolmente il legislatore, una volta  raggiunto  il
risultato,  alla  vigilia  del  conseguimento  delle  condizioni  per
l'erogazione del citato emolumento, ha abrogato la norma  attributiva
dello stesso». 
    22.  Infine,  si  deve  altresi'  considerare  che  della   norma
censurata non e' possibile dare un'interpretazione costituzionalmente
orientata, dato che tanto il suo inequivoco tenore letterale,  quanto
lo scopo perseguito  dal  legislatore,  ossia  quello  di  conseguire
risparmi di spesa, inducono a ritenere che  l'effetto  fosse  proprio
quello - della cui legittimita' costituzionale si dubita - di evitare
il pagamento del «premio antiesodo» ai  militari  che  si  trovassero
nella condizione degli appellanti. 
    23. Pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui esposte,  il
Collegio ritiene di respingere in parte l'appello, con riferimento al
primo motivo d'impugnazione; di rimettere alla  Corte  costituzionale
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  261,
della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nella parte in cui ha  abrogato
l'art.  2261  c.o.m.,  per  violazione  dell'art.  3  Cost.,  nonche'
dell'art. 117, comma 1 Cost. in riferimento all'art. 1 del Protocollo
n. 1 alla CEDU,  in  quanto  lesivo  del  legittimo  affidamento  dei
militari e della certezza del  diritto;  di  sospendere  il  processo
nelle more del giudizio della  Corte  costituzionale,  riservando  la
pronuncia sul secondo  motivo  d'appello,  nonche'  ogni  statuizione
sulle spese di causa e  i  compensi  professionali,  all'esito  della
decisione   del   giudice   delle   leggi    sulla    questione    di
costituzionalita', come innanzi sollevata; di disporre  che,  a  cura
della Segreteria, gli atti siano trasmessi immediatamente alla  Corte
costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata alle  parti
costituite e al Presidente del Consiglio dei ministri,  e  comunicata
ai presidenti delle due Camere del Parlamento.